IL DIRITTO DEL CITTADINO EUROPEO A SCONTARE LA PENA IN ITALIA. EVOLUZIONE NORMATIVA.

Il diritto del cittadino europeo a scontare la pena in Italia trova un compiuto riconoscimento nello spirito e nei valori alla base delle decisione quadro in materia di mandato d’arresto europeo (DQ 2002/584/GAI; relativa al MAE e alle procedure di consegna tra Stati membri).

Ed invero, ai sensi dell’art. 4 n. 6 del predetto provvedimento, l’esecuzione può essere rifiutata «se il mandato d’arresto europeo è stato rilasciato ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà, qualora la persona ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda, se tale Stato si impegni a eseguire esso stesso tale pena o misura di sicurezza conformemente al suo diritto interno».

Volgendo lo sguardo al nostro ordinamento interno, occorre evidenziare come il diritto in parola sia stato concretamente recepito solo grazie all’intervento della Corte Costituzionale, con la sentenza n. 227 del 2010.

È noto, infatti, che il legislatore italiano, con la legge n. 69 del 2005, nel recepire la DQ 2002/584/GAI, aveva solo parzialmente attuato il dettato dell’art. 4 n. 6, circoscrivendone l’applicazione soltanto ai cittadini italiani. In particolare il previgente art. 18 co. 1 lett. r, l. 69/2005, prevedeva il rifiuto alla consegna «se il mandato di arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, qualora la persona ricercata sia cittadino italiano, sempre che la Corte di appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno».

La Corte costituzionale, con la citata pronunzia (di tipo additivo) stabilì l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 co. 1 lett. r della Legge n. 69 del 2005, nella parte in cui non prevedeva il rifiuto di consegna anche del cittadino di un altro Paese membro dell’Unione europea, legittimamente ed effettivamente residente o dimorante nel territorio italiano, ai fini dell’esecuzione della pena detentiva in Italia, conformemente al diritto interno. Nell’occasione la Corte dispose, altresì, che all’autorità giudiziaria competente spettasse di «accertare la sussistenza del presupposto della residenza o della dimora, legittime ed effettive, all’esito di una valutazione complessiva degli elementi caratterizzanti la situazione della persona, quali, tra gli altri, la durata, la natura e le modalità della sua presenza in territorio italiano, nonché i legami familiari ed economici che intrattiene nel e con il nostro Paese, in armonia con l’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia dell’Unione europea».

Successivamente, con la legge 4 ottobre 2019, n. 117, il legislatore ha sostituito l’originario testo dell’articolo 18 della legge n. 69 del 2005, introducendo il nuovo articolo 18 bis che ha previsto “espressamente”, tra i motivi di rifiuto “facoltativo” della consegna, l’ipotesi in cui il mandato d’arresto europeo sia «stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, qualora la persona ricercata sia cittadino italiano o cittadino di altro Stato membro dell’Unione europea, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, sempre che la corte di appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno».

Da ultimo, con l’art. 15, comma 1, D.Lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, il legislatore è di nuovo intervenuto sulla formulazione dell’art. 18 bis della legge n.69 del 2005, stabilendo che «Quando il mandato di arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, la corte di appello può rifiutare la consegna della persona ricercata che sia cittadino italiano o cittadino di altro Stato membro dell’Unione europea legittimamente ed effettivamente residente o dimorante nel territorio italiano da almeno cinque anni, sempre che disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno».

Così sintetizzato il travagliato percorso normativo del riconoscimento del diritto del cittadino europeo a scontare la pena in Italia, vale la pena evidenziare come l’elemento centrale su cui ruota la ratio della norma sia il legame tra il soggetto richiesto e il territorio.

In buona sostanza, la ratio è quella di consentire di rifiutare la consegna qualora ciò possa accrescere le opportunità di reinserimento sociale del condannato mentre il riferimento allo Stato dove il soggetto dimora, ne sia cittadino o vi risieda, mira ad individuare il luogo dove si trova il centro degli interessi, dei legami familiari, della formazione dei figli e di quant’altro possa rilevare ai fini del reinserimento sociale durante e dopo l’esecuzione della pena o della misura di sicurezza. Sul punto, infatti, i giudici della Corte di giustizia hanno specificato che il motivo di rifiuto previsto dall’art. 4 n. 6 della decisione quadro «mira in particolare a consentire di accordare una particolare importanza alla possibilità di accrescere le opportunità di reinserimento sociale della persona ricercata una volta scontata la pena cui essa è stata condannata. È quindi legittimo per lo Stato membro di esecuzione perseguire siffatto obiettivo soltanto nei confronti delle persone che abbiano dimostrato un sicuro grado di inserimento nella società di detto Stato membro» CGiustCE 6.10.2009, Wolzenburg. Trattasi, quindi, del parametro di riferimento cui deve ispirarsi la valutazione discrezionale dell’autorità giudiziaria dello Stato richiesto, circa l’opportunità di esercitare o meno la facoltà di opporre il rifiuto alla consegna.  Infine, l’aggiunta del vincolo temporale, non previsto nella vecchia disposizione, rappresenta l’introduzione di un criterio oggettivo per decidere se dar corso o meno al MAE, producendo l’effetto di ampliare i casi di esecuzione del mandato (cfr. Archivio Penale 2021 n. 1, pag. 19).

Configurazione della firma digitale Aruba Key su SL pct per Mac (OS X).

SLpct è il noto redattore atti gratuito per il Processo Civile Telematico di Evoluzioni Software s.n.c. attraverso il quale è agevole ed intuitivo eseguire un deposito telematico. Tuttavia, la configurazione del dispositivo di firma digitale su SL pct per Mac (indispensabile per firmare automaticamente la busta ed il suo contenuto) necessita di qualche passaggio che il software non eseguirà da solo.

Per configurare Aruba Key (il dispositivo USB fornito da Aruba) sulla versione per Mac di SL pct, sarà sufficiente indicare – nell’apposita schermata relativa all’impostazione del file di libreria PKCS#11 – il file che consentirà al programma di riconoscere il vostro dispositivo di firma.

Nel caso di Aruba Key, il file della libreria è solitamente (ma non necessariamente!!!) denominato: “libbit4xpki.dylib” oppure “libbit4ipki.dylib”

Per raggiungere la schermata di SL pct ove dovrà essere indicato il percorso della libreria, procedere con la creazione di una busta ed alla firma della stessa.

A questo punto, occorrerà indicare il percorso di ubicazione del file libreria che solitamente (ma non necessariamente!!!) corrisponde al seguente:

/Volumes/ARUBAKEY/ArubaKey.app/Contents/Resources/libbit4xpki.dylib

oppure

/Volumes/ARUBAKEY/ArubaKey.app/Contents/Resources/libbit4ipki.dylib

Successivamente, dopo aver inserito il pin del dispositivo (nell’apposito campo della medesima schermata), l’applicazione provvederà a firmare automaticamente la busta ed il suo contenuto.

Se dovessero riscontrarsi problemi nell’individuazione del corretto percorso del file della libreria (come nell’esempio che segue), potrà essere utile “scoprirlo” manualmente procedendo nel seguente modo:

  1. individuare la periferica USB corrispondente al dispositivo di firma (nell’esempio NO NAME);
  2. fare clic con il destro (ctrl+clic) sull’applicazione Arubakey;
  3. selezionare mostra contenuto pacchetto;
  4. aprire la cartella Contents;
  5. aprire la cartella Resources;
  6. individuare il file libreria;
  7. aprire l’app terminale e trascinare il file libreria al suo interno per individuarne il percorso;
  8. ricopiare il percorso evidenziato da terminale in SL pct;

Configurare Aruba Key su Mac (OS X) per l’accesso veloce a PST Giustizia

Aruba Key è il dispositivo fornito da Aruba che, contenendo al suo interno una smart card dotata del certificato di firma e del certificato d’autenticazione CNS, consente la firma digitale degli atti nonchè l’accesso ai servizi della Pubblica Amministrazione. Tra questi, quello maggiormente utilizzato dagli Avvocati e dagli ausiliari del Giudice è PST Giustizia. Il portale, infatti, rende disponibile il servizio di consultazione dello stato del procedimento e dei dati contenuti nei registri di cancelleria, oltreché l’accesso ai documenti in formato elettronico contenuti nel fascicolo informatico.

E’ noto come configurare un dispositivo di firma digitale affinché funzioni correttamente con il browser installato sul proprio Mac sia un’operazione ostica (e questo a prescindere dal produttore della firma digitale). Pertanto, molti si limitano ad accedere a PST Giustizia utilizzando il browser (Firefox) presente all’interno della memoria rimovibile dell’Aruba Key e già configurato con i certificati.

La principale criticità di questa modalità di utilizzo di Aruba Key consiste nella eccessiva “lentezza” delle operazioni di accesso e fruizione del portale PST Giustizia (derivante dalla scarsa performance di un programma, nel caso di specie Firefox portable, costretto a “girare” sulla memoria removibile, ossia il dispositivo Aruba Key, per il tramite della porta usb).

Una “semplice” soluzione al problema, anche se poco ortodossa, consiste nell’installare il software “Aruba Key” (contenente la versione di Firefox portable già configurata con i certificati) direttamente tra le applicazioni del Mac e quindi nella memoria del computer. In queso modo, l’esecuzione di Firefox portable sarà più performante così come la fruizione dei servizi di PST Giustizia.

Per installare il software sarà necessario accedere al sito internet del produttore della firma ed individuare la pagina dedicata al download, successivamente, occorrerà (1) scaricare ed installare i driver del lettore e, dopo aver eseguito un riavvio del Mac, (2) scaricare ed installare il software per Aruba Key.

Durante l’installazione del software sarà opportuno selezionare una cartella del proprio disco rigido, convenzionalmente si tratterà di quella denominata “applizazioni”.

Al termine della procedura, per verificare l’operatività dell’applicazione “Aruba Key” installata sulla memoria interna del Mac basterà firmare un file oppure lanciare Firefox dagli applicativi di Aruba Key ed eseguire l’accesso a PST Giustizia.

N.B. Va da sé che il software Aruba Key ed i suoi applicativi per essere “performanti” dovranno essere eseguiti dalla cartella applicazioni del Mac e non dalla memoria removibile!

Pagamento telematico del contributo unificato.

In conformità a quanto previsto dalla normativa vigente, dal Codice dell’Amministrazione Digitale (D. Lgs 235/2010 art 5)  e dal D.M. 44 del 12 febbraio 2011, è possibile eseguire in modalità telematica i pagamenti relativi alle spese di giustizia, diritti e contributo unificato.

Per eseguire il pagamento su canale telematico dei diritti e delle spese di giustizia sarà sufficiente autenticarsi (eseguendo il Login) su pst.giustizia.it

Dopo avere eseguito l’accesso con smartcard, occorrerà selezionare il link al servizio riservato denominato: “Pagamenti”

Nella schermata successiva, riepilogativa dei pagamenti eseguiti con questa modalità, basterà selezionare la voce “Nuova Richiesta di pagamento”

A questo punto, si procederà con il completamento delle informazioni sul pagamento da eseguire:

  1. tipologia (es. contributo unificato);
  2. distretto ed ufficio giudiziario di riferimento;
  3. nominativo del soggetto che esegue il pagamento;
  4. causale (ossia il riferimento del procedimento es. generalità attore e convenuto etc.)

Dopo aver inserito le informazioni necessarie, si procederà con “aggiungi al carrello”.

La successiva schermata evidenzierà il contenuto del carrello con il riepilogo degli acquisti eseguiti. Dopo aver controllato la correttezza di quanto si è in procinto di acquistare, fare clic su “effettua pagamento”

Infine, si procederà a finalizzare l’acquisto con il sistema “pagoPA”. Per accedervi ci si potrà limitare a digitare il proprio indirizzo mail e, nella successiva schermata, si potrà selezionare la modalità di pagamento più congeniale alle proprie esigenze.

A fronte di una operazione di pagamento correttamente eseguita, il sistema restituirà la ricevuta di avvenuto versamento, scaricabile in formato *xml, e che potrà essere allegata al deposito telematico mediante il proprio redattore di atti in fase di compilazione della busta

SL pct – deposito telematico di una busta superiore ai 30 Mb.

Come noto, le dimensioni fisiche in byte della busta telematica da depositare non possono superare i 30 megabyte (il limite, a ben vedere, deriva proprio dalla dimensione massima che un messaggio di posta elettronica certificata può raggiungere, ossia 30 megabyte). Al fine di ovviare a tale inconveniente, il legislatore ha previsto la possibilità di suddividere il deposito in più buste concatenate/complementari.

Attraverso SLpct, il noto redattore atti gratuito per il Processo Civile Telematico di Evoluzioni Software s.n.c., sarà agevole ed intuitivo eseguire il deposito telematico di buste complementari automaticamente predisposte dall’applicativo.

Per eseguire un deposito di buste complementari con SLpct, infatti, sarà sufficiente procedere normalmente alla predisposizione della busta, inserendo tutti gli allegati e senza timore di superare il limite consentito.

Dopo aver constato il superamento del limite, sarà sufficiente selezionare gli allegati da “separare” dal deposito principale facendo clic sul pulsante “varia” e specificando, nell’apposito menù a tendina, la loro inclusione nel “deposito complementare”.

A questo punto, l’applicazione fornirà la stima della busta principale (che non dovrà superare i 30 mb) ed evidenziarà, con un colore differente, i files allegati al deposito complementare.

Si potrà quindi procedere alla creazione della busta (seguendo il normale procedimento firma/crea). All’esito, SLpct ci avviserà della contestuale creazione di un deposito complementare.

Infine, si procederà all’invio della busta avendo cura di inviare prima il deposito principale e, solo dopo l’avvenuta ricezione dello stesso (pec di avvenuta consegna), i depositi delle buste complementari.